WE NO SPEAK AMERICANO
- IL PAMPHLET
- 26 ago 2018
- Tempo di lettura: 3 min
VIAGGIO NELL'ITALIA EMIGRANTE DI SETTANTA ANNI FA. LE INTERVISTE CON GLI UOMINI CHE QUELL'EMIGRAZIONE L'HANNO VISSUTA.

Mentre Domenico Modugno scalava le classifiche mondiali con il suo brano più celebre, e forse quello che ancora oggi rappresenta più di ogni altro la musica italiana al di là dello stivale, tantissimi nostri connazionali salpavano alla volta dell’Atlantico alla ricerca di possibilità nelle Americhe. I miei corregionali scelsero in particolar modo una terra tanto fredda quanto affascinante: il Canada. Proprio il Paese del “maple syrup” mi ha accolto nelle ultime settimane, e con esso le storie di tanti italiani che decisero di compiere quel viaggio nel periodo post bellico. Non erano arrivati come me, non con 8 comode ore di volo, non avevano un posto a sedere né tantomeno un piccolo televisore con un’ampia scelta cinematografica. Avevano voglia di dimostrare al mondo di valere qualcosa, quella voglia che buona parte di noi giovani adulti abbiamo barattato per un cavo HDMI e una connessione wireless. Ricordo la conversazione con un anziano signore; era nato in un piccolo paese della mia stessa provincia e non vi aveva mai fatto ritorno. Sono settant’anni che non vede più quelle strette vie in pietra, quelle colline e quelle distese dorate di casa sua, sono settant’anni che non vede i suoi primi amici e le strade che intraprendevano i suoi pastori. Eppure sono rimasto sconvolto dalla nitidezza dei suoi ricordi e dalle dolci lacrime che sgorgavano dalle sue lunghe ciglia, dal percorso che esse segnavano tra le sue profonde rughe e tra i suoi lineamenti belli ed eleganti. Arrivato il momento del congedo mi ha chiesto solamente di salutare la nostra terra per lui. Mi sono commosso.
Poi ho conosciuto una coppia, entrambi originari di un piccolo paese situato alle pendici della mia piccola città. Avevano entrambi un aspetto dolce e rassicurante, fui in particolar modo colpito dalla sensibilità d’animo di lui, mi ricordava la mia gente. Mi raccontava le difficoltà che riscontrò ad integrarsi in Quebec, difficoltà che superò solo attraverso il lavoro e l’impegno. Quell’uomo piccolo e anziano rappresentava in modo così nitido il concetto di lavoro e forza di volontà, nel parlar con lui provavo un senso di colpa profondo per tutte le volte che ho concesso alla mia pigrizia e alla mia apatia di avere la meglio. Eppure un uomo così saggio aveva una domanda per me, una domanda alla quale non trovava risposta:“Passi la scarsa forza di volontà, passi l’insoddisfazione tipica di NOI italiani, ma come è possibile che PROPRIO NOI siamo tanto ciechi di fronte al problema dell’immigrazione?!” Ho sentito fortemente vergogna e non ho saputo rispondere, se non con le solite frasi di circostanza. Gli ho raccontato in modo soggettivo la nostra situazione politica e se ne rattristò molto. Arrivato il momento dei saluti, l’anziana coppia si congedò, ma non mi ha chiesto semplicemente di salutare la penisola da parte loro, mi hanno consigliato, in modo sincero ed onesto, di seguire il loro esempio: “L’Italia è il Paese più bello del mondo, ma sei un ragazzo in gamba. Portala nel cuore e cerca fortuna altrove”.
Ero scosso e, oltre a salutarli calorosamente, non ho detto nulla.
Ho scelto di raccontare solamente tre storie, quelle che più di ogni altre ho trovato rappresentative, ma potrei descrivere migliaia di situazioni identiche.
Essere italiani all’estero forse vuol dire questo: portare l’Italia nel cuore, ricordare ogni viso amico e ogni strada rovinata e antica, ma, forse, non voler mai più farvi ritorno, che sia per conservare stabilmente quei ricordi infantili oppure perché consci della scarsezza di possibilità. Essere italiani all’estero significa conservare le radici e le ali, senza mai privilegiare le prime alle seconde.
Carlo Scasserra

“Penso che un sogno così non ritorni mai più ; mi dipingevo le mani e la faccia di blu. Poi d’improvviso venivo dal vento rapito, e incominciavo a volare nel cielo infinito.“
Domenico Modugno
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