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VALE LA PENA ASSECONDARE IL PAESE DEI BALOCCHI?

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 23 mag 2018
  • Tempo di lettura: 4 min


Dov'é che ci porta il disinteresse?

E' da questo quesito che parte la riflessione qui di seguito. Riflessione che si riversa sicuramente ad analizzare la classe giovanile, che ne sembra afflitta come fosse una malattia virale.

E poi, Perché il disinteresse?

Parto da una consapevolezza, il disinteresse muove dalla necessità di vivere con maggiore serenità. ''Meno sai meglio stai'', diceva un detto. Ed è sicuramente così. Se si rimane allo scuro di una determinata situazione quest’ultima non potrà mai rappresentare un qualcosa di propria responsabilità. E se non si hanno responsabilità su questa suddetta situazione e questa dovesse prendere il risvolto di una situazione problematica, il problema non lo si avvertirà, perché non se ne sarà responsabili.


A questo punto della lettura vi starete chiedendo ‘’ma che cosa vorrà mai dire Michele’’, e se fosse un dialogo e non una lettura iniziereste ad effettuare un incessante movimento di apertura e chiusura della mano e contemporaneamente mi direste ‘’stringi,vieni al punto’’.


Il punto è che non c’è un punto, sto solamente cercando di analizzare la quotidianità in cui vivo, che più di tutte non ha un punto, perché in realtà non ne esiste nemmeno una direzione, tale da poter parlare di punto. E dai miei occhi la vista della quotidianità è destabilizzante : persone quasi completamente disinteressate a qualunque problema che non sia facilmente comprensibile e facilmente risolvibile.

Una società estremamente pigra, che non ha più l’interesse , né tanto meno la voglia di volgere lo sguardo e l’analisi su tematiche rilevanti. Tutto assume le sembianze di un costante chiacchiericcio in divenire che si riversa sugli argomenti più disparati accomunati l’un l’altro da una caratteristica: parlarne non presuppone una conoscenza approfondita.

Mi ritrovo catapultato in un macrosistema in cui la rilevanza dell’argomento è analizzata in base a quanto più questo sia di facile analisi e comprensione. Si mormora, si critica, si chiacchiera, basta che gli argomenti siano vuoti che chiunque acquista il diritto di riversarsi nelle analisi più astruse e complicate, a volte azzardate e criticanti, basta però che l’argomento sia vacuo,superficiale,frivolo.


Quanti invece sono disposti a mettersi in discussione? Pochi. Sono pochi perché la maggior parte di noi ritiene di possedere verità assolute, quando alla fine di verità ne esistono poche, se non nessuna se ci si pone di fronte a un’ottica relativistica.

Il mio non vuol essere un puntare il dito. Sono il primo a mettersi in discussione e ad analizzarsi, anche perché la prima esperienza empirica di questa analisi si riversa proprio su me stesso. Sono la prima cavia di questa riflessione, per altro alquanto pretenziosa, se non proprio presuntuosa, visto che mi pongo l’obiettivo di muovere un’analisi di carattere sociologico.


E si protende in massa verso questa rasserenante prospettiva in cui chiunque è possessore di una patente metaforica che legittima alla critica.

La cosa rasserenante non è soltanto la quieta e silenziosa consapevolezza che mai si dovrà discutere dei veri problemi, perché rasserenante è prima di tutto questa dimensione comunitaria, in cui tutti sono autorizzati a dire tutto perché tutti sono autorizzati a dire tutto. Sembra un discorso distorto, ma che in realtà è più semplice di quanto si pensi: ognuno è legittimato dal fatto che gli altri si comportano allo stesso modo. E così ragionando, benvenuti nel banchetto del semplicismo e della mediocrità.

E i canoni in questo modo sono ribaltati, perché nel ‘’banchetto’’ ideale non primeggia chi si cimenta in argomenti realmente importanti, che presuppongano studi e cultura, bensì primeggerà chi è portatore dell’argomento più mediocre e più accessibile.


E quindi in questa visione rasserenante si diventa tutti auto-assolti da un’entità trascendentale che tutto ha a che vedere tranne che a un dio, quest’entità trascendentale è la società nel suo insieme.


Possibile che in questo movimento in divenire verso la mediocrità, nessuno alzi il dito al cielo inveendo che si sta percorrendo la direzione sbagliata?


Sicuramente ne esistono di persone che alzano il dito al cielo, persone critiche e non conformi ad una così vasta omologazione, ma le loro grida sono ancora troppo fioche, perché c’è un ronzio di sottofondo, la voce della mediocrità, che ovatta e riduce il suono delle urla di chi si pone contro corrente.


Al termine della riflessione però, non ci sono né ammonizioni e né rimproveri, né condannati, né assolti. Perché il mio vuole essere tutt’altro che un rimprovero. Non saprei neppure con chi prendermela in un ipotetico rimprovero. Perché questa mediocrità non ha volto, se non quello della società stessa.

Che poi non ne ho proprio l’intenzione di rimproverare, sia perché muovendomi su ciò che dicevo prima il primo dato empirico dell’analisi è dato da me stesso e quindi sarei la prima vittima del rimprovero, sia perché attraverso un rimprovero darei il pretesto per una nuova e ipocrita auto assoluzione generale, in cui ognuno che legge ciò che sto scrivendo si rispecchia in ciò che dico, ammonisce la propria parte cosciente per poi tornare ad essere incoscientemente come prima.


Insomma, è bello questo paese dei balocchi che ci siamo costruiti, dove a furia di non pensare ai problemi realmente importanti, sembra che questi problemi siano proprio scomparsi, sembra che non esistano più. Ma per quanto questa immagine sia rasserenante, in realtà i problemi esistono, e i problemi vanno risolti. Fino a quando non ci risveglieremo da questo magico sogno, ci sarà sempre e ugualmente qualcuno a dover decidere le sorti di quei problemi. E le conseguenze di quelle scelte, che tu lo voglia o no, si riverseranno comunque sulla collettività, quindi anche su di te.


Michele Messere

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