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Quella che ''scure'' non è.

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 12 giu 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

di Michele Messere


E' ormai passato un anno di governo da qualche settimana. Qualche tornata elettorale di mezzo, che più che rafforzare poteri ha contribuito a rendere ancora più caotica la situazione politica, e tante, infinite previsioni sulla stabilità dell'esecutivo: "terminerà a ridosso del 26 Maggio", si sentiva qualcuno, "No! bisogna aspettare prima i ballottaggi delle amministrative il 9 Giugno", urlava qualcun altro. Fantasticherie, o meglio toto-scommesse. Come sempre d'altronde è l'approccio dei più all'analisi politica: poco dissimile alla scienza, più simile alla verve da tifoseria calcistica, stereotipo, questo, abbastanza verosimile.

Ma insomma, un anno è passato e forse l'esecutivo durerà, o forse no, perché se c'è una cosa, questa sì attendibile, che ho imparato in quest'anno è che dalla politica ci si può aspettare di tutto, e l'ottica se tesa al surreale diviene più reale del reale. (slang artificioso quanto mai pretenzioso).

Ma c'è un'altra cosa che ho imparato in questi tempi di burrasca: si identifica come fascismo quello che fascismo non è. Incombono ancora pesantemente su di noi gli anni della scure nera ma forse il messaggio che la storia ha voluto lasciarci non è ancora stato sedimentato. E così basta un pollastro che si atteggia a kapo, un consistente dissenso dell'opinione pubblica e la conclusione è inevitabile: ci apprestiamo ad un nuovo incombente ciclo storico di buio della ragione, siamo ad un passo dal fascismo.

Fortunatamente non è così: e se questo è palese allo storico del diritto e al letterato che ricordano la frase attribuibile a Mark Twain, ciò diventa più complicato se a districarsi nell'analisi è il "borghese piccolo piccolo".


E' vero, il contemporaneo non verrà ricordato dai libri di storia come l'età aurea del nostro secolo. I diritti si restringono, le libertà individuali si riducono, le minoranze sono sotto tiro, l'odio sembra espandersi a macchia d'olio, l'egoismo fa da padrone. Ma ridurre l'analisi ad un superficiale sintagma è fuorviante. Pensare di essere giunti dall'oggi al domani ad un fascismo 2.0 soltanto per la venuta di un catalizzatore di una massa egoistica è alterante, anzi mistificante. Pensare di potersi assolvere additando l'altro come "fascista" è quanto mai controproducente.

Una sinistra che si riduce allo stereotipo non è più sinistra. Perché se è rassicurante semplificare e catalogare il tutto con una rapida postilla, è anche vero che in questo modo si alimenta il problema: si omogenizza la dialettica, la si appiattisce. Il discorso critico perde di forma e sostanza e si fa luogo comune. Il tutto tende alla generalizzazione passiva, il ragionamento si insterilisce, facendosi asettico, e il messaggio diviene fuorviante. L'arringa si fa ritornello, o meglio stornello, una canzonetta ripetuta su di un vecchio, decrepito, anacronistico grammofono.

Il cocktail è micidiale: la tanto agognata propaganda diviene compagna dei nostri giorni, e non è più l'argine di separazione, ma diviene cerchio che ingloba una massa indistinta di persone che pensano di costruire dialettica ed alimentano invece la propaganda stessa. Una propaganda all'inverso diviene la tensione oratoria del mondo social democratico.

E scusatemi, ma in questo insieme a questo punto ci sto stretto. E' questa la superficialità d'un mondo che non m'appartiene.


E' vero, qualche nostalgico dei tempi ormai andati sembra essere risorto come un Gesù cristo, ma in realtà l'approccio teologico-trascendente è sconsigliabile nella circostanza sociologica. Sarebbe invece più utile considerare il risorto come un mai morto, quale questo strano batterio latente è. E a questo punto, ancor più di Mark Twain sarebbe vantaggioso rispolverare un altro intellettuale, nostro connazionale, per alcuni il “poeta corsaro”, per i più Pier Paolo Pasolini, che in tempi non sospetti, al ridosso del boom economico degli anni '60, ci ammoniva di una criticità che di lì a poco sarebbe palesatasi: un nuovo fascismo, che fascismo non è, più subdolo e insidio, inteso «come normalità, come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società». È il sistema dei consumi, che si è reso responsabile dell’omologazione culturale del paese. Una situazione dunque, che non nasce di certo ieri con la venuta di Matteo Salvini, ma che trae invece inveterate radici, una situazione manifestatasi oggi ma presente da tempo, quale la logica stessa su cui si è costruita la nostra società.

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