#NOTME
- IL PAMPHLET
- 2 mag 2018
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 18 giu 2019

Capita sempre più spesso al giorno d’oggi di sentire la propria umanità annaspare nel marasma del politically correct, un melmoso mare caleidoscopico che sobilla le nostre coscienze affinché facciano “harakiri”.
Sguazzando nelle acque del polically correct, forse anche per un po’ di sano masochismo, mi sono imbattuto nella più grottesca vicenda giudiziaria che abbia avuto modo di conoscere.
Stando alla sentenza n. 55481 della Corte di Cassazione è considerato reato fingere di essere chi in realtà non si è al fine di adescare un partner.("sostituzione della propria all’altrui persona ovvero attribuzione a sé o ad altri di un falso nome o di un falso stato ovvero di una falsa qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici"). In soldoni: chiunque si attribuisca uno status sociale, un nome o una professione che non gli compete è, automaticamente, perseguibile penalmente e rischia dai 5 ai 10 anni di carcere.
Mentire al fine di avere un rapporto sessuale resta, innegabilmente, un atto vile. Lungi da me il giustificare atteggiamenti simili ma, al contempo, sono inorridito dalla deriva che la nostra società sta prendendo. Siamo sicuri che se la “vittima” fosse stata un uomo si sarebbe arrivati fino al terzo grado di giudizio?
L’infimo sessismo occulto, presente nel politicamente corretto è forse più pericoloso di quello a stampo patriarcale che ha dominato in lungo e in largo fino a questo momento. Il sessismo subdolo del terzo millennio pone ancora la donna in una condizione ontologicamente più debole, incapace di ribellarsi ai diktat maschili e, quindi, in balia delle onde del burrascoso mare della vita.
Al contrario ci libereremo realmente della logica patriarcale solo ed unicamente smettendo di considerare la donna come un fiore, come un dono divino che l’uomo ha ricevuto dal cielo e cominciando a parlare di persone, indipendentemente dal sesso.
Carlo Scasserra
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