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Montanelli fine mai

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 16 giu 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

di Carlo Scasserra


Montanelli soleva ripetere quanto uno dei difetti peggiori del popolo italiano fosse l’incapacità di sviluppare proteste e movimenti autoctoni, una sorta di pigrizia mentale che impedisce all’opinione pubblica del Bel Paese di affrontare tematiche che toccano direttamente il nostro intimo, preferendo invece scimmiottare, con risultati grotteschi, movimenti d’oltralpe, d’oltremanica o d’oltreoceano che sia.

Ebbene, diciannove anni dopo la sua dipartita, la lucidità del pesiero del nativo di Fucecchio continua ad essere un faro nel mare magnum (o cloaca maxima) del giornalismo italiano.


E così il vettore della frustrazione italiana, da tempo orfano di una direzione propria, ha deciso negli ultimi tempi di seguire il tragitto tracciato dalle proteste a stelle e strisce, e anche stavolta epurando di tutto ciò che di condivisibile, giusto e dignitoso vi era movimento originario. Della protesta contro l’uso eccessivo e discriminatorio della forza da parte degli agenti di polizia nei confronti degli afroamericani, in Italia è arrivata solo la follia iconoclasta.

Come accade sovente, anche in questa battaglia a prendere immediatamente posizione è stata la sinistra extraparlamentare, che ha trovato nel “black lives matter” in salsa italiana un mezzo per dare sfoggio del proprio conformismo anticonformista, dando ai giovani qualcosa da distruggere e ai più grandi una barbarie da giustificare.


A fare le spese del tribunale progressista, come ne fece in vita quelle del tribunale proletario, è proprio Indro Montanelli.

Pare che quello che è fuor di dubbio uno dei migliori giornalisti della storia del nostro paese, non disponga dei requisiti morali necessari a che gli venga riconosciuto il diritto ad essere celebrato.



Il tema qui non si ferma al giudizio morale, non si ferma nemmeno alla contestualizzazione storica, ma abbraccia una disciplina molto più vasta: l’etica.

Montanelli era di sicuro un razzista, perlomeno se letto con la sensibilità contemporanea, così come furono disgustose le sue dichiarazioni su tutto ciò che ha rappresentato il colonialismo italiano, e principalmente alle sue posizioni relative al madamato e alla vicenda che lo vede personalmente coinvolto: la ormai celebre violenza praticata nei confronti di Destè, una bambina Eritrea di 12 anni.


Bisogna però riconoscere che, se fossero le questioni etiche personali ad essere preminenti nella celebrazione dei grandi uomini, dovremmo adottare lo stesso metro di giudizio su tutti, costringendo la storia umana e l’Occidente ad una damnatio memoriae collettiva.

Indro Montanelli merita stima non come santo, ma come esempio di un giornalismo ormai purtroppo estinto, come simbolo delle virtù professionali che quel mestiere impone: indipendenza, coraggio e tecnica di scrittura sopraffina. Uomo di enorme cultura e passione, ha sempre preservato il proprio amore per l’informazione libera, a costo di perdere lettori, a costo di perdere la vita, o anche a costo di perdere il giornale a cui aveva dedicato tutta la secondo parte della sua vita professionale e non.

Mi piace ricordare Montanelli come un esempio di libertà, e non di moralità, come una stella del firmamento giornalistico di cui tanto avremmo ancora bisogno in terra, mi piace ricordare che prima ancora che io nascessi c’era un uomo che, armato di Olivetti, incantava e istruiva i lettori con l’amore con il quale una madre nutre il proprio pargolo.


Questo era Indro Montanelli: un uomo del suo tempo, con le innumerevoli vergogne e difetti del caso se letto con una sensibilità contemporanea, ma con una vocazione di cui tanto avremmo bisogno ora, e della quale il ricordo può portare avanti le virtù.


Lasciamo agli altri i giudizi sull’uomo e il suo privato, io so solo che se in questo paese avessimo avuto più Indro Montanelli oggi forse il giornalismo e la politica italiana sarebbero migliori.

 
 
 

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