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Ieri “cosa potremmo”, oggi “cosa dovremmo”.

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 25 mag 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Di Michele Messere - Il racconto mistificato della movida e altre leggende. Le “stese“ per il corso e gli assembramenti. I pettegolezzi e le maldicenze. Approcci diversi di una Campobasso divisa, alla ricerca di un equilibrio nella “Fase2”.


Nella cittadina provinciale appartenuta a Cola di Monforte v’è l’usanza il sabato sera, per le nuove generazioni, di districarsi tra le viuzze del vecchio borgo e dipanare risate e distrazioni in quella più comunemente nota come Via de Ferrari. E se è vero che il sabato sera v’è quest’usanza fra ”i giovani”, è di pari vero che la domenica sera, quando maturano i vespri tardo primaverili e l’aria s’avvia al temperamento, “i vecchi” pareggiano i conti con l’usanza della “stesa”: reiterato andirivieni tra due punti di una retta, dove per retta s’intende Corso Vittorio Emanuele.

Non serve che un banale movimento logico per comprendere di come queste due prassi scandiscano la normalità della vita cittadina. Tanto che se “Tizio” questa normalità la rivolesse indietro, perché puta caso ne fosse stato usurpato, una delle prime cose che farebbe per riassaporare la libertà sarebbe alternativamente una delle due: bere un cocktail a via Ferrari, o per converso assaporare un gelato nocciola e pistacchio di Brisotti tra i sanpietrini del centro città.


Insomma nel week end appena consumatosi pare che le due pratiche siano tornate a scandire il pendolo del tempo che qui lento, lentissimo scorre. Se non fosse che di chiacchiericcio, soprattutto la prima delle due usanze, ne hanno generato non poco. Cinguettii e bisbiglii che cercavano di riportare la realtà in maniera esageratamente distorta. Ed i “pare che” sono assunti a verità incontrovertibili. «La movida e gli assembramenti», di lì a poco avrebbero titolato i giornali locali, che, vuoi per divertissement, vuoi per “pour parler”, vuoi ancora per costruirsi chissà quale alibi in attesa di un giudizio futuro dal quale dover assolversi, provano un insensato e malsano gusto perverso nella pratica paternalistica, costruendo gradualmente il mito di un paese dei balocchi inesistente. In realtà i giornali non fanno altro che riflettere l’opinione diffusa di una coscienza collettiva bigotta. Così anche stavolta. Con tanto di immagini che fotografavano da lontano una realtà parziale, che poi in realtà è questa la stessa fotografia del presente: l’incomunicabilità generazionale che si traduce in istantanee inefficaci di realtà osservate da lontano. Troppo lontano.

E mentre si cuciva il mito di Lucifero sui “giovani”, “i vecchi” si spalmavano tra l’ovs e il monumento dei caduti, cercando di catturare gli ultimi istanti di luce di questa passata domenica. “Pare.”


L’approccio si è adagiato sul pettegolezzo, mistificando il sacro e costruendo il profano. Ma tra le immaginifiche costruzioni delle maldicenze ed i simulacri, bisogna invece scegliere la realtà. E se volessimo davvero restituirci la realtà dell’appena passato week-end non sarebbe altro che questa: gruppetti distanziati di ragazzi e ragazze che, cercando di rispettare le regole sono usciti di casa per afferrare qualche briciola di divertimento (sabato), e gruppetti di famiglie che, cercando di rispettare le regole, sono andate a spasso per il corso (domenica). Il tutto con tanto di volanti e controlli costanti di agenti di polizia e forze dell’ordine.


Ma allora dov’è il problema? Nessuna legge è stata violata insomma.

Il problema è nella domanda. Se fino a qualche settimana fa dovevamo chiederci “cosa potremmo fare”, considerato che i decreti, con cadenza settimanale, scandivano e gestivano la nostra vita comune, oggi quei decreti non ci sono più, quasi nulla più ci è vietato, e quindi saremmo portati a pensare che la domanda sia svanita assieme al venir meno dei decreti.

Ma quella che prima si realizzava come operazione di ossequio civile, cioè il rispetto delle norme, nella nuova fase dell’epidemia ci si presenta come operazione del tutto nuova, cioè morale. Oggi infatti non dobbiamo più chiederci cosa possiamo o non possiamo fare, bensì cosa dovremmo e non dovremmo fare. Ed il nostro agire non andrebbe risolto soltanto nella logica (illogica) del “tanto la legge me lo permette”, perché ad essa bisognerebbe aggiungerci una corretta valutazione soggettiva. E con quest’operazione individuale andare a discernere tra le varie situazioni del quotidiano.


Fino ad una settimana e mezzo fa Campobasso è stata palcoscenico di una delle ultime preoccupazioni nazionali in tema di incremento dei contagi. Recarsi per pub, così come per il corso, così come in tutti i luoghi dove può crearsi sovraffollamento è sbagliato. Nonostante la legge nulla dica. E lo è anche se si cerca di rispettare ogni singola regola di distanziamento. Perché il sopraggiungere degli istinti naturali alla socializzazione incrinano qualsiasi buona predisposizione. Istinto alla socializzazione che è ontologicamente in contrasto con le regole sul distanziamento sociale. Soprattutto se si condivide lo spazio con un centinaio di amici e conoscenti. Perché nella realtà provinciale ciò siamo: tutti amici e conoscenti.


Dobbiamo rinchiuderci nella clausura per sempre? No. Anzi, sembra che il virus stia negli ultimi giorni radicalmente perdendo la carica virale. Le curve, dicono gli esperti, sembrano rassicuranti, tanto che quasi sicuramente in ogni regione di tutta la penisola entro la fine del prossimo mese si registreranno 0 nuovi contagi. Ma questo sempre se come variabile assumiamo il comportamento responsabile che ora non può più prescindere quella domanda: non più “cosa potremmo fare”, bensì “cosa dovremmo fare”.

 
 
 

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