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La dittatura dell’ideologia

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 24 feb 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 18 giu 2019


L’emorragia che da anni indebolisce il Venezuela fornisce un perfetto esempio di quanto la spesa pubblica non sufficientemente pianificata possa risultare pericolosa, e di come alle volte, celate dietro buoni intenti si nascondano personalità tutt’altro che nobili.



Nel 2012 veniva stimato che il quantitativo di oro nero ancora presente nel sottosuolo venezuelano si aggirasse attorno ai 296 miliardi di barili, circa il 20% delle riserve mondiali; a questo andava aggiunto il patrimonio in gas, che fa sì che la nazione sudamericana si collochi all’ottavo posto nel mondo come approvigionatore di tale fondamentale bene.

Ad oggi, con un’economia mondiale ancora strettamente dipendente dai combustibili fossili, incapace per via delle limitazioni che contraddistinguono le fonti rinnovabili di spostarsi verso politiche energetiche più rispettose del fragile ecosistema che regola la vita sul pianeta, chiunque si aspetterebbe che uno stato contraddistinto da scorte notevoli di così cruciali risorse, sia tra i più ricchi del pianeta. Basti pensare alla crescita impressionante cui sono stati soggetti paesi del medio oriente quali l’Arabia Saudita, contraddistinti da simili possedimenti.

Ma la realtà è ben diversa. Stime del Fondo Monetario Internazionale attribuivano verso fine 2018 un rate di incremento dell’inflazione venezuelana di 1,3 mln %, tale da far raddoppiare il prezzo dei beni ogni 19 giorni circa. Nella situazione attuale, gran parte delle famiglie ivi residenti risultano incapaci di acquistare alimenti e medicinali di uso quotidiano in quantitativo sufficiente a garantire il proprio sostentamento. Ad aggravare la situazione si aggiunge inoltre la crisi idrica che fa sì che nella capitale, Caracas, arrivi acqua solo una volta la settimana, spesso non depurata. Il declino di quella che un tempo era la nazione sudamericana economicamente più solida ebbe inizio nel 1999, quando forte dell’appoggio di tre partiti di fiera tradizione socialista, venne eletto presidente Hugo Chavez.

Al tempo la nazione, per quanto non nella disastrosa situazione economica attuale, era contraddistinta da una notevole disuguaglianza sociale. In virtù del rapido aumento che il prezzo del greggio subì nei primissimi anni del terzo millennio, la recentemente eletta guida del paese inaugurò un periodo di notevole spesa pubblica in favore dei più deboli mediante il cosiddetto Plan Bolivar 2000, che prevedeva le più disparate misure, dalla distribuzione gratuita di vaccini ed acqua depurata, all’imposizione di un calmiere sui prezzi di beni fondamentali quali la farina, permettendo alle fasce più deboli di migliorare le proprie condizioni di vita. Grazie al consenso ottenuto mediante questi provvedimenti, Chavez portò avanti una modifica costituzionale, approvata tramite referendum, con l’obiettivo di incrementare la sua autorità. Nel frattempo i grandi ricavi che l’industria petrolifera, completamente nazionalizzata già dal ‘76, permetteva al Venezuela di non far pesare le misure assistenzialiste sul deficit in maniera eccessiva. L’amato presidente venne a mancare nel 2013 per complicazioni del cancro che da anni lo affliggeva, lasciando la poltrona della presidenza al suo vice, Nicolas Maduro, il quale si impegnò a mantenere alta la spesa pubblica per non perdere il sostegno di coloro che a lungo piansero il suo defunto predecessore. La vera crisi per lo stato sudamericano ebbe inizio nell’agosto 2014, quando le oscillazioni nel prezzo del petrolio subirono una incredibile flessione, tale da dimezzarne il valore di mercato in soli quattro mesi. Alla fine dello stesso anno il deficit venezuelano s’assestava al 29% nel rapporto con il Pil: ne conseguì che il valore del Bolivar Venezuelano, per quanto sulla carta ancora in rapporto di 10:1 con il dollaro, iniziò a scendere rapidamente. Dopo aver eliminato l’Assemblea Nazionale, ormai dominata dall’opposizione, sostituendola con un organo a lui favorevole mediante elezioni manovrate, Maduro si è concesso con lo stesso sotterfugio un rinnovo della durata di sei anni del suo mandato elettorale, facendo infuriare ancor più il popolo venezuelano, che oggi all’80% si professa contro il governo fantoccio e il suo leader, come ben dimostra l’alto numero di manifestazioni di protesta che da mesi ormai imperversano per le strade delle maggiori città dello stato.

Un punto di svolta per la vicenda sembra essere giunto il 23 Gennaio scorso, con il giuramento e l’autoproclamazione di Juan Guaidò, giovane presidente del decaduto parlamento, quale nuovo leader della nazione, grazie al sostegno di gran parte dell’opposizione e di una larga fetta dei manifestanti. L’appena nominato presidente ha immediatamente ricevuto l’appoggio degli Stati Uniti (seguiti poi da Canada e la quasi totalità della UE), causando non poche critiche da parte dei partiti di sinistra occupati nei vari angoli del globo, che riconoscevano nell’atto un ennesimo coup d’état portato avanti dalla grande potenza capitalista. Nonostante sia innegabile che gli USA adottino metodi non sempre rispettosi del diritto internazionale e della sovranità altrui per ampliare il proprio quadro di alleanze, non va dimenticato che Maduro ha tradito i valori portati avanti dal colore politico del quale si proponeva campione, insultando la democrazia e lo stesso popolo che si era professato di aiutare.

Le buone intenzioni almeno inizialmente celate nel programma di governo non giustificano l’aggrapparsi al potere di un dittatore che si è dimostrato incapace di sopperire ai doveri imposti dal suo ruolo, riducendo una nazione un tempo florida, in condizioni deplorevoli.

Nel mentre si attende che Guaidò ottenga anche l’appoggio dell’esercito, e quale nuovo presidente dia il via ad un periodo di liberalizzazioni e risanamento, risulta chiaro come Il caso venezuelano non solo permetta di comprendere quanto il legarsi all’ideologia di sinistra non necessariamente comporti una purezza degli intenti, ma anche come l’indirizzare la spesa pubblica verso provvedimenti assistenzialistici atti a ridurre la disparità sociale senza al contempo favorire lo sviluppo e la crescita, possa portare a conseguenze disastrose nei decenni successivi.


Alberto Tavini

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