In humanity we trust
- IL PAMPHLET
- 3 ott 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 18 giu 2019
Mentre 2.1 miliardi di persone sono ancora prive di accesso quotidiano all’acqua potabile, nelle parti del mondo economicamente e tecnologicamente più avanzate quasi non ci si cura più del consumo di questa cruciale risorsa: questo atteggiamento tossico ha avuto serie conseguenze in Sudafrica, dando però la possibilità alla sua popolazione di divenire un esempio a cui ispirarsi.

Quando un bene, un servizio, costituisce parte fondamentale della quotidianità, di quel ciclo di eterna manutenzione che è l’esistenza, è facile che esso venga dato per scontato, che venga messa in dubbio la sua importanza (basti pensare ai vaccini, i quali ormai, in un Occidente quasi privo di contagi potenzialmente letali, sono da alcuni ritenuti di dubbia utilità). E cosa accadrebbe se questo riguardasse il bene principale, quello che nello spazio più profondo è ricercato in quanto condizione strettamente necessaria per l’esistenza della vita? Che cosa accadrebbe se da un giorno all’altro, aprendo i rubinetti della propria abitazione, non uscisse più acqua?
Impossibile direbbero molti, magari in un lontano futuro, direbbero altri. Purtroppo però, questa eventualità non è così remota, in quanto grandi città come Londra, Tokyo, Melbourne, Sao Paulo e Città Del Messico già nel 2040 potrebbero non essere in grado di supplire alla domanda annuale di acqua imposta dalla loro crescente popolazione. Ma si, in 22 anni si troverà un rimedio, penserà qualcuno. E se quella soluzione servisse oggi stesso? Città del Capo, capitale di uno degli stati africani economicamente più solidi, annunciò pubblicamente che le sue riserve di H2O sarebbero giunte ad un livello critico, tale da dover interrompere la normale distribuzione del prezioso liquido, il 21 aprile 2018.
La crisi che ha colpito la metropoli da 4,3 milioni di abitanti ha avuto inizio nel 2015, quando a seguito di un inverno scarso in termini di precipitazioni, la diga da cui le tubature cittadine tutt’ora attingono era piena solamente la metà, contro il 70% previsto dalle autorità competenti. Il problema della siccità, dovuta non solo all’incremento di temperatura portato dal cambiamento climatico, ma anche dall’influsso che questo terribile fenomeno ha sui ritmi metereologici, si è risolto in gran parte della nazione con le forti piogge dell’Agosto 2016, le quali non raggiunsero però la capitale. La città invece, si ritrovò ad inizio 2017 con la necessità di imporre limitazioni alla sua popolazione: 100 litri al giorno a persona, questo il consumo massimo concesso a ciascun individuo, in una crisi paragonabile solamente a quella accaduta nel 1933, anno in cui i beneficiari del sistema idrico erano di gran lunga inferiori in numero rispetto a quelli oggigiorno presenti. Il 3 settembre dello stesso anno il limite scendeva a 87 litri, mentre la direzione della città veniva bersagliata dalle critiche di numerosi enti impegnati nella valorizzazione delle risorse idriche per l’incapacità di gestire la crisi. Nel febbraio del 2018, il Department of Water and Sanitation, in concomitanza con il sindaco Patricia De Lille, annunciava che il cosiddetto “Day Zero” era alle porte: nel momento in cui le scorte di acqua fossero scese al di sotto del 13.5%, il trasparente liquido avrebbe cessato di percorrere le tubature casalinghe, costringendo la popolazione a recarsi in punti di raccolta per poter ricevere una quantità limitata del prezioso bene. L’idea di “andare a prendere l’acqua al pozzo”, che sembra ormai appartenere unicamente al passato, stava per tornare realtà. Una restrizione in grado di scuotere persino l’economia del paese: basti pensare alla necessità di ridurre gli orari di lavoro per permettere ai cittadini di attendere in fila la loro razione quotidiana di H2O.
Fortunatamente, precauzioni così limitanti non sono state prese: ad oggi, il Day Zero è stato posticipato al 2019, dopo essere stato rimandato prima a luglio, poi a settembre del corrente anno. E non perché il caso volle che nubi nere cariche di tempesta si riversassero sull’assetata città, bensì perché gli abitanti, sensibilizzati al problema, si sono impegnati per risolverlo: provvisti di soli 50 litri d’acqua al giorno (i quali comportano, seguendo la guida fornita dal dipartimento, una doccia da 2 minuti al giorno, un solo bucato alla settimana, 1 solo scarico per il gabinetto al giorno, ecc.), i residenti sono stati in grado di utilizzarne anche meno, permettendo ai livelli della diga di ricominciare a salire, allontanando indeterminatamente la necessità di fermare la distribuzione. Alcuni giorni fa il dipartimento annunciava che le riserve idriche avevano raggiunto il 70%, celebrando la fine della crisi e riportando il tetto a quello inizialmente imposto, di gran lunga meno limitante.
Lo spreco di acqua è sempre stata una problematica tutt’altro che trascurabile, ed in maniera splendidamente irresponsabile è sempre stato sottovalutato da coloro che sono comodamente abituati a veder il liquido della vita fluire ininterrottamente dopo aver semplicemente girato una manovella. Ma gli avvenimenti intercorsi a Città del Capo in periodo recente non forniscono solo un invito a porre seria attenzione nel momento in cui si preme il tasto ON su di una lavatrice con un solo panno all’interno, o si lascia il rubinetto aperto mentre si è impegnati nella cura dell’igiene orale: permettono di comprendere come la razza umana, che presumibilmente mai quanto in questo periodo storico è tenuta in cattiva considerazione proprio da coloro che ne fanno parte, è in grado di agire positivamente, è in grado di creare e risolvere, non solo di distruggere e prosciuga.
Alberto Tavini
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