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APPARTIENE AL TUO SORRISO, L'ANSIA DELL'UOMO CHE MUORE.

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 9 mag 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Cinisi, SICILIA - 10 maggio 1978

Sapete cosa documenta questa immagine? Questa è l'immagine di Cinisi, un piccolo paese della Sicilia, l'indomani della morte di Peppino Impastato.


Il 9 maggio del 1978, quaranta anni fa esatti, vennero ritrovati brandelli del suo cadavere sui binari della ferrovia di Cinisi. E si pensò ad un mancato atto terroristico. Erano gli anni di piombo e proprio quello stesso giorno venne ritrovato il cadavere del presidente Aldo Moro. Fu facile per l'allora maggiore dei carabinieri Antonio Subranni dare il responso: Peppino si è fatto esplodere sui binari, dopo essersi tirato addosso le pietre ed essersi martoriato viso e corpo per poi infine legarsi sui binari con addosso il tritolo.

Quello che disse il maggiore era quello che tutti volevano pensare, era la soluzione più comoda. Peppino si suicidò.

E invece no, Peppino fu ucciso e fu grazie alla determinazione della madre , Felicia , e del fratello Giovanni, e delle tante persone che erano attorno a Peppino, che emerse la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta nel maggio del 1984 dal tribunale di Palermo. Nel maggio del 1992 i giudici decisero l’archiviazione del caso, ma nel 2002 — dopo la riapertura chiesta dal Centro di documentazione di Palermo —Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo come mandante.

Ma perchè Peppino Impastato fu ucciso? Chi era Peppino Impastato?

Molti oggi lo definiscono giornalista, ma lui non aveva un patentino, né una licenza. In vita però, fece qualcosa in più di ogni altro giornalista. Attraverso una radio locale da lui ideata insieme ad un gruppo di amici, egli denunciava gli agganci fra politici e mafiosi nel proprio paesino. Ed era proprio Gaetano Badalamenti il chiodo fisso nelle sue trasmissioni. Lo chiamava ''Tano seduto'' e lo sbeffeggiava nelle sue trasmissioni.

E perchè?

Perchè Gaetano Badalamenti era un boss mafioso e Peppino Impastato non aveva paura nel dirlo.

Peppino fu una persona senza la benda sugli occhi e il bavaglio alla bocca. Peppino non aveva paura. E non l'aveva perché sapeva che valeva di più battersi per un mondo più onesto, anziché rassegnarsi ed arrendersi nel silenzio. Non era capace di genuflettersi al suon della filastrocca ''nonvedononsentononparlo''. Non ci riusciva. Gli riusciva più facile urlare e combattere la grossa massa tumorale, quale la mafia.

Però non è solamente il coraggio che ci insegna Peppino. Non solamente ci ha insegnato che la mafia non può essere ritenuta una semplice organizzazione criminale, bensì una forte ramificazione socio-politica intriseca alla struttura del nostro paese. Lui ci ha insegnato che se la mafia esiste è perché la nostra superficialità, o paura, o omertà, o chiamatela come volete, glielo permette. Lo spazio d'azione viene offerto alla mafia ogni qualvolta una sola persona si gira dall'altra parte e fa finta di non vedere.

E invece in tanti hanno fatto finta di non vedere, e tanti fanno finta di non vedere a quarant'anni dalla morte di Peppino. E Peppino è morto. E Peppino muore.

C'è però una cosa interessante che ha detto qualche giorno fa il fratello di Peppino, Giovanni Impastato: «i mafiosi hanno commesso un errore», perché «mettendolo a tacere, hanno amplificato la sua voce. E non è solo questione di quanto si fa sentire: è questione di qualità del messaggio, perché se è la vittima a parlare, tutti tacciono, perché la sua autorevolezza è indiscutibile». E per Giovanni i mafiosi fecero un altro errore: «l’avessero lasciato parlare, magari a lungo andare si sarebbe ripetuto e avrebbe stancato. Magari avrebbe perso la testa e avrebbe esagerato, si sarebbe smascherato, sarebbe caduto lui, nel ridicolo. Invece così ha per sempre ragione, ha per sempre voce in capitolo. E gli altri ad ascoltare».

E quindi Peppino vive, e la sua voce risuona e da quarant'anni a questa parte si fanno manifestazioni a Cinisi e in tutta Italia, nel suo ricordo e nel ricordo di tutte le persone come lui, che sono nate senza benda sugli occhi e senza bavaglio alla bocca.

Peppino vive nelle bocche di tutti i ragazzi che hanno creato nelle scuole d'italia i giornalini scolastici ed hanno iniziato a fare inchieste sui presunti agganci fra cosche mafiose e i comuni delle varie città in cui vivono.

E Peppino vive e ci insegna che la mafia è dentro le nostre teste, è nei comportamenti e negli usi e nei costumi che abbiamo. Non è una schiera di persone rinchiuse in un bunker, che si nascondono perché su di loro cade l'appellativo di ''super latitanti''. La mafia è il mio silenzio, è il tuo silenzio ed il silenzio di chi è vicino a te. La mafia siamo noi, è dentro il nostro sangue, ma dobbiamo sbarazzarcene.

Ed è inutile pensare che il tuo apporto non vale niente. Perchè fino a quando tutti ragioneranno così nessuno farà nulla e le cose rimarranno sempre allo stesso modo e la mafia sarà sempre lì. E la mafia sarà il fuoco e il tuo silenzio la legna che lo alimenta.

E invece no. Peppino ci insegna che si può cambiare. Peppino ci insegna che ad esser vigliacchi non si guadagnerà mai nulla.

E lui vive perché se quarant'anni fa erano in mille a pensarla come lui, oggi ne sono dieci mila e domani ne saranno ancor di più.


''Appartiene al tuo sorriso l'ansia dell'uomo che muore, al suo sguardo confuso chiede un pò d'attenzione, alle sue labbra di rosso corallo un ingenuo abbandono, vuol sentire sul petto il suo respiro affannoso: è un uomo che muore. ''
-Peppino Impastato

Michele Messere



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