DAL PASSATO REMOTO AL FUTURO ANTERIORE È UN ATTIMO
- IL PAMPHLET
- 17 lug 2019
- Tempo di lettura: 3 min
di Antonietta Petrone
A gennaio la #10yearschallenge, a luglio la #FaceAppChallenge: nostalgia o curiosità?

L’anno che conclude il secondo decennio del nuovo millennio era iniziato da appena due settimane, quando dai social sembrava che fosse già tempo di bilanci. Circa sei mesi fa, infatti, più o meno a metà gennaio, per un paio di giorni i nostri feed di Instagram erano stati travolti da una valanga di foto before-and-after non solo di celebrities e blogger, ma anche della gente comune. Ma il problema di fondo, che come al solito passa in secondo piano, non è tanto verificare quanti chili o capelli abbiamo perso dal 2009 a oggi, quanto piuttosto considerare solo i due estremi: il trend è sfumato rapidamente, e un semplice collage di tal sorta non ci ha permesso di vedere (né tantomeno di rifletterci un po’ su) cosa fosse effettivamente cambiato tra il prima e il dopo.
Oggi, a metà luglio, sembra che sia esplosa la moda opposta: si chiama FaceApp, ci permette di vedere come sarà il nostro aspetto quando avremo “qualche” ruga in più, ed ha già ottenuto più di 700.000 download sul Play Store. Disponibile sia per iOS che per Android, fu rilasciata nel gennaio 2017 dalla Wireless Lab, società russa di Yaroslav Goncharov, e consente attraverso i suoi filtri non solo di anticipare il nostro invecchiamento, ma anche di vederci più giovani, sorridere anche quando in foto siamo seri, cambiare taglio di capelli... insomma, di diventare un’altra persona! Per vedere come e quanti dei nostri amici e followers sono già invecchiati tra una storia e un tweet, basta cercare l’Hashtag #FaceAppChallenge, o anche solo #FaceApp, mentre per vedere noi stessi basterà scattare un selfie e applicare il filtro Anziano.
Esattamente come nel caso precedente, però, mettendo da parte le questioni relative all’Intelligenza Artificiale e a quanti dati rischiamo di fornire a terzi ogni volta che ci esponiamo a questa anche solo per gioco o per curiosità, e tralasciando anche le polemiche e l’accusa di IA “razzista” rivolte a Goncharov al momento dell’uscita dell’app relativamente al filtro Hotness (che processava volti usando come criterio di bellezza
esclusivamente tratti caucasici, addirittura schiarendo la pelle ai fruitori di colore), la domanda resta sempre la stessa: cosa ci spinge a fare questi voli pindarici in avanti o all’indietro, senza mai considerare cosa metta in relazione i due punti? Puro divertimento, nostalgia del passato, curiosità del futuro, facilità dell’immediatezza... in fondo bastano un filtro, un click e il gioco è fatto. Da una parte, siamo affetti da un
pericolosissimo presentismo, ossia l’illusione di vivere in un eterno hic et nunc, in cui ogni riflessione è a brevissimo termine, il passato è passato, e il futuro... beh, il futuro si vedrà; dall’altra non ci lasciamo sfuggire neanche un’occasione per vederci diversi da ciò che siamo, più giovani, più vecchi, più belli, più brutti, in un altro tempo e in un altro spazio, possibilmente virtuali.
Pur sembrando agli antipodi, paradossalmente questi due aspetti della nostra dimensione sono legati a doppio filo, perché è proprio nella convinzione di vivere un eterno presente “reale” che possiamo permetterci il lusso tecnologico di app, hashtag e macchine del tempo virtuali. Ciò che a noi interessa non è approfondire, ma ammirare l’immagine di noi stessi in ogni sua forma, specchiarci nel “black mirror” del nostro smartphone:
siamo tutti un po’ Narciso 2.0 (facciamo pure 3.0). E dopo esserci rimirati a lungo, crediamo di ritornare alla realtà, senza renderci conto che, ogni volta che strizziamo l’occhio a un nuovo filtro, esso ruba una parte di noi, mentre quel presente che cerchiamo di catturare con un selfie è già volato via.
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