top of page

UN CUORE DIVISO A METÀ

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 1 set 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

QUANDO CI SI SENTE COMBATTUTI TRA LA NECESSITA’ DELL’ “ALTROVE” E L’AMORE PER “CASA”


“Quando risali?”

Settembre è ormai alle porte, e la domanda a cui noi fuori sede veniamo sottoposti sempre più spesso è proprio questa. Tra la nostalgia per la cucina di mamma che già si fa sentire al cospetto di mille scatolette di tonno e la paura di non riuscire a ritrovare quella voglia di studiare smarritasi nella selva oscura delle sere d’estate che sono già diventate un ricordo, ci accingiamo a regalare soldi a Trenitalia per tornare – nella maggior parte dei casi – al nord, e a salutare calorosamente casa. Ed è stato proprio tra una capatina su Facebook e un’occhiata ai prezzi dei biglietti per partire nuovamente alla volta di Pisa, che mi sono imbattuta in questa immagine.



Cos’è “casa” per me? È forse l’edificio a cui la mia ombra cerca disperatamente di aggrapparsi quando i piedi si trascinano già verso la direzione opposta? È forse tornare alle abitudini di sempre, ai luoghi di sempre, alle voci severe ma allo stesso tempo rassicuranti che mi hanno fatto crescere, permettendomi pian piano di camminare con le mie gambe? O forse, ancora, rendersi conto che ciò che si è sempre dato per scontato acquista valore nel momento in cui non lo si ha più? Eppure, arriva per tutti, prima o poi, quel momento in cui si fa impellente il bisogno di recidere il cordone ombelicale, per volontà propria, necessità o costrizione che sia. Nel mare di possibilità che si dispiega dinanzi ad ognuno bisogna imparare a non naufragare, a toccare terra e far sì che questo nuovo posto nel mondo possa diventare un altro tetto sotto il quale sentirsi al riparo, senza credere che la distanza che ci separa dalle radici sia incolmabile. Basta tenere a mente il percorso compiuto, per andare avanti e indietro ogni volta che si vuole, anche solo con la mente o con il cuore. Allora il nostro è un cuore diviso a metà, tra il “dolore del ritorno” – come ci insegna il nostalgico Ulisse – e la voglia di volare sempre più lontano. È difficile, ma al contempo necessario, acquisire la consapevolezza che ci si può sentire “a casa” in qualunque posto, e in qualsiasi momento; ma è meglio rischiare di allontanarsi progressivamente, o restare fermi pur di sentirsi sicuri? È più redditizio tentare di valorizzare i propri luoghi di sempre, o conquistare autonomia e indipendenza altrove? A pensarci bene, si può continuare a crescere anche nella realtà in cui si è sempre vissuti, ma questo processo sta divenendo, paradossalmente, molto più complicato del previsto. Quasi nessun giovane è ormai disposto a lottare per rendere migliore e più moderno il proprio territorio, e questo è evidente soprattutto in una regione così piccola come il Molise. La triste verità è che coloro che vorrebbero averci sempre vicini sono i primi a spingerci ad andare lontano, perché si è venuto a creare un senso di sfiducia diffusa nei confronti di quelle piccole realtà in cui il tempo sembra essersi fermato. E invece il mondo corre veloce come un treno, per questo noi giovani siamo tenuti a stargli dietro. Siamo nel 2018, ma il termine “glocalizzazione” (con accezione non esclusivamente economica) è stato coniato dal sociologo Zygmunt Bauman negli anni Ottanta, non l’altro ieri; eppure, in quasi quarant’anni, sembra che non siamo ancora divenuti capaci di conciliare le due istanze, di adattare la prospettiva locale a quella globale e viceversa, di trasformare i particolarismi in opportunità di integrazione anziché accentuarli, e le uniche due soluzioni possibili restano l’annichilimento nella nullafacenza, nel caso di persone diversamente intraprendenti, o la fuga a gambe levate verso-dove-non-si-sa. Aprire la valigia significa aprire i propri occhi al mondo, significa guardare, osservare, scrutare, non vedere distrattamente; solo così il nostro destino di giovani apolidi può trasformarsi in quello di adulti cosmopoliti, ma è tutto nelle nostre mani. Dobbiamo essere cittadini del mondo, ma non per questo dimenticare le nostre origini: ricordare la strada per andare avanti e indietro ogni volta che si vuole, questo è il segreto per donare un pezzetto del proprio cuore ad ogni luogo, per pensare a “casa” sempre con un sorriso stampato in faccia, qualunque essa sia. In fondo, si parla di “fuga di cervelli”, non di “fuga di cuori”, no?!


Antonietta Petrone

Commentaires


bottom of page