top of page

Fake news Welles: è tutta colpa delle fake news?

  • Immagine del redattore: IL PAMPHLET
    IL PAMPHLET
  • 31 ott 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

1938-2018: DAL RADIODRAMMA DI WELLES ALLE BUFALE DEL WEB 2.0


È il 30 ottobre 1938, e tutti i breadwinners americani appena rientrati a casa, distrutti da una intensa giornata di lavoro, e le rispettive mogliettine casalinghe che di radio durante il giorno ne hanno già ascoltata abbastanza, sono pronti a sintonizzarsi come ogni sera sulla CBS e ad ascoltare ipnotizzati i giochetti narrativi di un giovane genietto poco più che ventenne di nome Orson Welles. Si mettono all’ascolto, apprendono che il radiodramma che la compagnia del Mercury Theatre sta per mettere in scena è un riadattamento di Howard Koch ispirato al romanzo The war of the worlds di H.G. Wells, e iniziano a godersi lo spettacolo sdraiati sul proprio sofà. Ma qualcosa va storto… strani rumori, urla provenienti da una folla indistinta, reporters che saltano da un’intervista all’altra per informare l’audience (nel senso puramente letterale del termine) che i marziani hanno invaso il suolo statunitense, che hanno già occupato il New Jersey, che stanno per entrare a New York e distruggere le forze armate! Caos. Silenzio assordante. Panico. Sono le 20:12, e 1.750.000 persone mettono sulla CBS, anche chi non ha seguito la trasmissione fin dall’inizio… non può trattarsi di uno scherzo, la CBS è troppo affidabile, è sempre la prima ad arrivare, a dare le sue soffiate in pasto al pubblico con i suoi radiogiornali in diretta! E invece, esattamente ottanta anni fa, si diede vita allo scherzo massmediatico più riuscito della storia: estremamente inaspettato, estremamente efficace. A partire da un copione improponibile, ma ormai immodificabile, dagli studi della compagnia di broadcasting più amata d’America il diabolico giovinetto mise in piedi una farsa geniale, tutta giocata sul potere dell’ascolto, sull’impossibilità, da parte del pubblico, di verificare visivamente cosa stesse accadendo, mentre gli attori del Mercury Theatre, orchestrati dallo stesso Welles, si divertivano a creare gli effetti di suono più disparati mirati a spaventare i quasi due milioni di ascoltatori caduti nella trappola dell’invasione dei marziani. Mai, oggi, ci lasceremmo ingannare da una simile falsificazione, visti i nostri mezzi di informazione così immediati, così veritieri, così affidabili, perché basati sulla vista e non sul suono. Eppure, c’è qualcosa di non tanto differente da quella sera del 1938, e quel qualcosa noi lo chiamiamo fake news. In realtà, quello di Orson Welles era un semplice Trick or treat? di Halloween per testare quanto fosse forte il potere acusmatico della radio, e sarebbe fuori luogo definirlo altrimenti, tant’è che fu egli stesso a decidere quando interrompere la messa in scena e tentare di riportare l’ordine tra gli ascoltatori con la stessa naturalezza con cui aveva seminato il panico pochi minuti prima. Ma se pure volessimo esagerare e parlare dell’invasione dei marziani di Welles come una fake news ante litteram, sorge spontanea la domanda: cosa sono esattamente le fake news? O meglio, noi ci siamo mai chiesti quale sia il vero significato dell’espressione fake news? La sottovalutiamo, ne abusiamo, ne consideriamo solo il senso superficiale, senza riflettere sul mare magnum che si dispiega oltre questi semplici sette grafemi. Innanzitutto, il fatto che abbiamo preso in prestito quest’espressione dall’inglese non è dovuto semplicemente al fatto che stiamo diventando più anglofoni dei native speakers (per rimanere in tema), ma anche e soprattutto perché la traduzione letterale, FALSE NOTIZIE, risulterebbe ancora più riduttiva e ambigua di quanto già quella adottata non sia. Una buona trasposizione, suggerisce Treccani, potrebbe essere BUFALA MEDIATICA, aprendo dinanzi a noi lo scenario della divulgazione e diffusione virale sulle piattaforme mediatiche che tutti utilizziamo abitualmente; ma anche questa non ci spiega perché le fake news siano così pericolose, perché concentra ancora una volta l’attenzione sulla mancata veridicità dell’informazione piuttosto che su altro. Il vero problema non è tanto il fatto che l’informazione veicolata possa essere falsa, vera, inventata o plausibile, quanto invece che venga diffusa da alcuni (gente come noi), recepita e creduta da altri (gente come noi), recepita ma respinta da altri ancora (gente come noi). Capire ciò cambia radicalmente le cose, perché ci pone nell’ottica di considerare come problematica non la fake news in sé, ma il nostro rapporto con essa a seconda del nostro background conoscitivo, cioè se il nostro bagaglio culturale, forma mentis compresa, sia abbastanza forte e radicato da consentirci di arginarla ritenendola, appunto, una bufala, o di accoglierla e prenderla come vera. Questo significa che, in entrambi i casi, siamo NOI a decidere se una fake news sia vera o falsa, perché, in entrambi i casi, siamo NOI a valutare quanto ciò che apprendiamo sia conforme a ciò che già ci appartiene, e in base a ciò possiamo rafforzare le nostre convinzioni o metterle in discussione sia in senso positivo, sia in senso negativo. Quindi, se la notizia viene rigettata perché si possiedono informazioni contrarie ad essa con una convinzione tale da non poter essere messe in discussione, e quindi non propense ad accoglierla, allo stesso modo è difficile smentire la fake news stessa perché, anche se la smentita è vera, risulta comunque contraria rispetto all’ambiente in cui la fake news ha attecchito, e risulta quindi più convincente della notizia vera, cioè della smentita. In effetti, persino Orson Welles, pur essendo pienamente padre e padrone del suo teatrino, ebbe comunque difficoltà a dissuadere una bella fetta di pubblico dalla credenza che gli USA fossero stati invasi dagli extraterrestri, proprio perché la smentita, benché arrivata dalla sua stessa voce, per molti degli ascoltatori della CBS era meno affidabile dell’argomentazione secondo cui la CBS stessa fosse paladina per eccellenza delle breaking news, non delle fake news, quindi era impossibile che un dipendente di quell’emittente non dicesse la verità. E a questo punto sorge spontanea un’altra domanda: E’ TUTTA COLPA DELLE FAKE NEWS?



Quando ho trovato questa scritta su un muro, per strada, non ho potuto non fotografarla e non ho potuto non riflettere su quanto problematica sia la vita di quella “gente come noi” che prima ho messo tra parentesi, perché potremmo essere noi quei creatori di bufale il cui dilemma consiste nella scelta della prossima “stupidaggine” (nel senso meno innocuo del termine) da diffondere; perché potremmo essere noi quei comunicatori pubblici che devono valutare oculatamente come e cosa dire nel pieno rispetto della loro professione; perché potremmo essere noi quel pubblico che abbocca ingenuamente all’amo della menzogna o che, al contrario, si arma di uno scudo chiamato spirito critico per difendersi dall’ignoranza. E il problema è proprio questo: manchiamo di spirito critico, siamo ciechi, muti e sordi di fronte a tutto ciò che ci viene detto, perché è molto più semplice manifestare il proprio accordo con un pollice in su piuttosto che argomentare, è molto più semplice fidarsi di chi si pensa sia più autorevole di noi piuttosto che andare a documentarsi in prima persona, o, peggio ancora, è molto più semplice far finta di essere depositari del sapere universale piuttosto che pensare alle conseguenze di ciò che si afferma. Crediamo di essere tutti uguali solo perché nella democrazia dei social “il mio pensiero vale tanto quanto il tuo”, ma nella democrazia vera, in una società dove la libertà di parola, di stampa e di pensiero sono esercitate in maniera autentica, ognuno si dovrebbe rendere conto da solo che c’è una gerarchia nelle competenze e nelle conoscenze, che ognuno è esperto in qualcosa, ma è impossibile che sia esperto in tutto, che il mondo, come si dice, è bello proprio perché è vario, per questo è sbagliato sentirsi in dovere di dire la propria a tutti i costi o annuire ammutoliti di fronte a chi asserisce il falso. Tutti questi estremi sono malati. Le fake news e le community in cui ci andiamo a ingabbiare con le nostre stesse mani devono farci riflettere su quel tipo di educazione che sempre più ci manca. Invece di farci forza a vicenda con friends e followers mettendo sempre più lucchetti alla gabbia, evitando il confronto come la peste – non l’accanimento e l’aggressività, ma il confronto -, proviamo, anche solo una volta, ad ascoltare, leggere, assimilare, confrontare, riflettere, allenare la nostra ragione, per capire che siamo esseri dotati di opinione, di spirito critico e di capacità di discernere ciò che è fake da ciò che non lo è. E l’ultima domanda è: è tutta colpa delle fake news, o è anche un po’ colpa nostra?


Antonietta Petrone

Comentarios


bottom of page